sabato 10 settembre 2011

Esiste ancora l’Unità sindacale



Le origini del sindacato sono piene di onore e di gloria. Il  sindacato nasce, con lo scopo di sostenere i diritti dei lavoratori , di tutti i lavoratori. Oggi non tutti  hanno mantenuto lo spirito originario che ha dato luogo alla loro fondazione. Eppure i lavoratori, ed i loro interessi, sono la classe che LORO si sono prefissati di difendere. I lavoratori sono i motivi per i quali ESSI esistono. Il sindacato  nasce nelle fabbriche e nelle campagne per la tutela dei diritti collettivi e individuali dei lavoratori. Riceve un grande impulso dalla rivoluzione industriale e, nel corso del novecento, dall’affermazione dei movimenti socialisti e cattolici. Nel secondo dopoguerra dopo il crollo del regime fascista, che aveva ridotto i sindacati a corporazioni e aveva soffocato i sindacati liberi, sulla scia della lotta per la liberazione nazionale dal nazifascismo e per iniziativa dei partiti del fronte per la liberazione nazionale cattolici, socialisti, comunisti, repubblicani, socialdemocratici nasce la libera CGIL (LCGIL). Nel periodo della guerra fredda, in cui si radicalizza la contrapposizione fra i due blocchi (est - ovest) in cui era diviso il mondo, emerge una diversa visione del sindacato da parte della corrente cristiana. Lo scontro si apre quando in seguito all’attentato a Togliatti, quando viene proclamato uno sciopero generale che la corrente cristiana non condivise. Nella contrapposizione, all’interno della libera CGIL, fra un’idea di sindacato cristiano ed un’idea di sindacato aconfessionale, prevale quest’ultima concezione: in questo modo dentro il sindacato si affermano correnti socialdemocratiche e repubblicane, che, nel 1950, danno luogo alla CISL, Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori. 
Ben presto il movimento di lotta si trasforma in un grande movimento di protesta politica collettiva antifascista.
Alcuni uomini, già dirigenti di organizzazioni sindacali prefasciste, appartenenti ai partiti più rappresentativi, iniziano a discutere in clandestinità e nei territori liberati del Mezzogiorno sulla possibilità di realizzare un'organizzazione sindacale unitaria. Achille Grandi, Giuseppe Di Vittorio, Bruno Buozzi ,Oreste Lizzardi e Giulio Pastore sono i protagonisti di quel difficile dialogo che porta, il 9 giugno del 1944, con la firma del "Patto di Roma", alla nascita della Cgil UNITARIA .
Tra le varie componenti sindacali esistono punti di vista diversi in tema di politica salariale e di difesa dell'occupazione, ma nel complesso esiste un orientamento di massima a collaborare al processo di ricostruzione del paese. All'interno del sindacato unitario si costituiscono ben presto correnti sindacali collegati ai principali partiti , ma il sindacato fornì ancora una volta la prova di avere il coraggio di guardare  avanti sia nelle proposizioni sui problemi , sia nell’individuazione delle risposte da dare alle richieste della società. Gli anni novanta hanno avuto per il sindacato in generale , un particolare significato , poiché con il crollo della prima repubblica , in seguito al ciclone di tangentopoli , il sindacato rimase uno dei pochi punti di riferimento saldi e costanti per  i lavoratori e per la nazione tutta. Pur  in presenza di un impegno sempre più ampio sul versante della democratizzazione dell’economia , come verso le necessità di fornire alcuni servizi per la tutela e l’assistenza ai cittadini  e , ovviamente in primis agli iscritti , il siap non ha mai distolto l’attenzione dal lavoro inteso come valore assoluto ,che , purtroppo , si va perdendo un diritto che rischia continuamente di essere negato , rivendicandone la difesa e la dignità , così come indicato dalla Costituzione repubblicana .
Le grandi organizzazioni , quella che durano nel tempo , come il SIAP  hanno  sempre affidato le loro fortune ad un gruppo di uomini  guerrieri , “gli organizzatori” , con il compito di “tenere insieme” il popolo che le compone , in questo caso  dopo  ventitre anni si può dire che i gruppi dirigenti che si sono alternati alla guida del SIAP hanno saputo farla andare oltre questo obiettivo , non solo facendole costantemente mantenere un ruolo di primaria importanza  , ma sicuramente consentendole di continuare ad averlo per tanti  altri anni  che seguiranno un punto di riferimento per tanti uomini delle forze dell’ordine .   Ancora una volta  i sindacati sono scesi in piazza a Roma per protestare contro un governo  sordo a ogni richiesta
La polizia rischia di  subire un taglio compreso fra i 600 e gli 800 milioni di euro dalla finanziaria in discussione in questi giorni al Senato. Senza contare i circa 3 miliardi sforbiciati in tre anni..tagli che  andranno a pesare sui mezzi a disposizione delle forze dell’ordine  che si tradurranno in una drastica riduzione dei servizi sul territorio. Tutte le  organizzazioni di rappresentanza sono sul piede di guerra perché ritengono che con le misure in discussione non si abbattono gli sprechi,  ma si va a incidere sui diritti dei poliziotti e sulla sicurezza degli italiani.
Stento a credere che, approfittando della manovra finanziaria, il ministro Sacconi non sapesse o avesse dimenticato assieme ai suoi  fedeli consiglieri che nell’infilare l’art. 8 nel decreto legge 138 del 2011 veniva leso il diritto del lavoro che  è un sistema complesso di regole, tenute insieme da quella logica stringente ed elementare, che i professori raccontano agli studenti di Giurisprudenza nella prima lezione del corso. Posto che un tizio disposto a lavorare per altri, nella stragrande maggioranza dei casi, è un soggetto debole sul mercato del lavoro , soprattutto , se c’è crisi occupazionale  e che poi, se ha la fortuna di essere assunto, diventa debole perché sottoposto al suo datore di lavoro, non può essere un semplice contratto tra i due a stabilire le regole del loro rapporto. Infatti, il timore di essere senza lavoro vizia la volontà del lavoratore e, quindi, fa presumere che tali regole non siano concordate, ma dettate dal solo datore di lavoro.
Perciò occorre che sia  la legge a ristabilire, per quanto possibile, la parità contrattuale tra datore e lavoratore, vale a dire a fissare diritti e doveri nello scambio della forza-lavoro, in pratica sostituendo alla volontà dei contraenti norme legali, che ovviamente sono inderogabili: anche perché quasi tutte radicate in principi della Costituzione, dunque vincolanti per lo stesso legislatore. Questa rigida inderogabilità delle norme legali può subire qualche attenuazione se a tutelare i lavoratori è la contrattazione collettiva, strumento ad hoc che la stessa Costituzione prevede all’art. 39. Se ne intuisce la ragione: se il lavoratore è garantito dal sindacato, è meno solo e, dunque, meno debole contrattualmente. Si tratta di un’attenuazione affermata dalla giurisprudenza e dalla dottrina e agevolata dalle politiche unitarie di una stagione sindacale, ispirata a quella concertazione sociale ; tra governo, imprese e sindacati che ha consentito al paese di crescere, superando più d’una crisi economico-produttiva.  Se è vero che il fondamento della contrattazione collettiva è la libertà sindacale grazie alla quale, nel tempo, la contrattazione si è molto articolata e variegata, a seconda dei settori, delle categorie e dei livelli territoriali è altrettanto vero che non può essere qualunque sindacato e qualunque contratto collettivo ad attenuare l’inderogabilità delle norme legali. Ciò si deduce inequivocabilmente dai commi successivi al primo dell’art. 39 della Costituzione: dove si prevede che a stipulare il contratto collettivo nazionale con efficacia erga omnesper tutti i lavoratori di una categoria, sia una rappresentanza unitaria, proporzionata al numero degli iscritti ai sindacati registrati della categoria medesima, aventi uno statuto a base democratica. Oggi il Governo con le  sue scelte scellerate  non  penalizzati soltanto coloro che operano per la sicurezza , ma anche e soprattutto i cittadini .Un Governo  e una maggioranza che hanno disatteso gli impegni presi anche per iscritto , una misura penalizzante , alla quale bisogna aggiungere, anche l’indennità relativa alle anzianità di servizio , agli avanzamenti di carriera  e  promozioni pur essendo state finanziate con  le risorse previste per la riforma interna delle carriere ovvero con soldi nostri accantonati da anni  tutti tagli lineari che colpiscono il settore sicurezza e che si aggiungono alla scure che si era abbattuta con le manovre finanziarie degli ultimi due anni senza contare che ultimamente  le organizzazioni sindacali e le rappresentanze  militari sono state escluse da qualsiasi confronto in  vista della manovra .  Gli appartenenti alle Forze di Polizia  subiscono, come tutti i dipendenti pubblici, i mancati rinnovi contrattuali fino al 2014 e l'applicazione del tetto retributivo.  Tutte  ormai le organizzazioni sindacali prendono atto  ancora una volta, del mancato rispetto degli impegni presi dal Governo e dalla maggioranza per i Comparti di riferimento, nonostante le assicurazioni più volte fornite, anche per iscritto. In particolare, la manovra finanziaria disconosce il principio della Specificità della Professione, introdotto nel nostro ordinamento lo scorso anno nell'ambito del cosiddetto “Collegato Lavoro” che riconosce la diversità di funzioni e di mansioni degli operatori delle Forze dell'Ordine, delle Forze Armate e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco rispetto al pubblico impiego, assicurando apposita e specifica tutela normativa, economica e previdenziale. Le ultime manovre finanziarie hanno disatteso questo importante principio a partire proprio dalla questione previdenziale, costringendo il personale in divisa a permanere in servizio - a causa della cosiddetta “finestra mobile” 12 mesi oltre i limiti di età previsti dal proprio ordinamento, incidendo sul trattamento di fine rapporto e rinviando ulteriormente l'avvio della previdenza complementare, necessaria per garantire agli operatori più  giovani una pensione dignitosa in futuro.
Il sindacato è chiamato, innanzitutto, a una sfida culturale  nel proporsi come soggetto rappresentativo anche di questo mondo , ancora poco sindacalizzato, ma non meno bisognoso  di forti tutele  . Noi siamo gli eredi di chi ha sempre creduto che la libertà e la giustizia sociale fossero indivisibili , di quella cultura politica che ha rappresentato il tratto migliore della storia sociale  di questo paese  ;  per questo tutti insieme i sindacati hanno  un dovere in comune e una grande responsabilità  : perpetuare nel tempo questi valori  e  consegnarli a coloro che verranno dopo  di noi così come essi ci sono stati tramandati . La massa dei lavoratori si aspetta che i sindacati facciano il proprio mestiere, cioè tutelare il salario, il posto di lavoro, la pensione, ecc. Ciò non toglie che la gran parte delle volte i sindacati non rispettino affatto questo mandato o lo portino avanti in maniera del tutto insoddisfacente.
Il sindacato è lo strumento indispensabile per una scommessa comune tra lavoratori e investitore: una scommessa equa, fondata sull’affidabilità reciproca. Certo, per questo occorre un management affidabile; ma occorre anche un sindacato affidabile, disponibile a negoziarla e capace di farlo. Se il sindacato italiano non impara a farlo, e non si dà regole che gli consentano di farlo, questo continuerà a costituire un pesante handicap negativo per l’Italia nel mercato globale dei capitali.
 

VOCI DAL CIELO




A distanza di 10 anni dagli attentati terroristici , dell’11 settembre 2001,  tutto è cambiato nelle coscienze e nei comportamenti di ogni essere umano  . Le immagini di quel giorno rimarranno  impressi  per sempre nelle nei nostri ricordi;  foto   significative e tragiche che i reporter presenti a New York consegnarono alla memoria storica  in  tutto il mondo . Siamo stati tutti vittime degli attacchi ci  è mancata una riflessione sul significato politico dell’accaduto. Tutti hanno enfatizzato gli aspetti emotivi e mediatici. Qualcuno, cinicamente, ha perfino usato la categoria del sublime, ma quasi nessuno ha tentato di descrivere l’avvenimento in termini di rapporti internazionali ; sul mondo islamico l’11 settembre ha avuto conseguenze devastanti ,paradossalmente, perfino gli stessi attentatori sono stati espropriati di un atto terroristico sproporzionato, ben più grande di loro. Di quell’atto terroristico si sono appropriati gli Stati Uniti, che lo hanno usato come pretesto per mettere un piede in Afghanistan guarda caso, sulla via della Cina e un piede in Iraq guardo caso, vicino all’Iran, sopra un mare di petrolio.  Sicuramente tutti ci ricordiamo dove eravamo e che cosa stavamo facendo in quel momento, cioè in quel pomeriggio (mattina in America) di dieci anni fa, quando d’improvviso la televisione ha iniziato a mostrarci una specie di film impazzito. Era l’11 settembre 2001: il giorno più assurdo, il giorno senza parole …  silenzi e lacrime  Le fotografie mantengono intatta la loro incredibile potenza e ancora risvegliano dentro di noi quello stupore dolente e quella sensazione di vulnerabilità che si imposero ai miliardi di spettatori increduli davanti ai televisori di tutto il mondo. Nel tempo abbiamo visto e rivisto i fotogrammi delle torri che si sbriciolavano , ogni volta con un senso di sgomento e impotenza . Ma può un solo giorno cambiare per sempre la storia del mondo? Quali possibilità abbiamo di capire quella tragedia, a un decennio di distanza? Con strette al cuore, rabbia e incomprensione oggi più che mai le Twin Towers rappresentano un simbolo di ciò che non c’è più, ma soprattutto della forza di volontà della popolazione newyorkese che ha saputo andare avanti ; senza dimenticare di onorare le migliaia di poliziotti, pompieri e volontari che si sono alternati nel soccorrere i superstiti, prima, e successivamente nel recuperare i corpi o solo le esili tracce delle vittime. Storie di dolore, coraggio e speranza che mostrano come il terrorismo abbia fallito, perché la voglia di vivere è più forte della paura di morire e soprattutto la voglia di non dimenticare. Al Qaeda non è più forte come dieci anni fa, ma è ancora in grado di colpire e fare male. L’espressione “guerra al terrorismo” è un evidente controsenso. Le azioni di polizia sono utili e necessarie quando si tratta di fermare i terroristi, gli esecutori materiali degli attentati, ma il terrorismo è una realtà diversa. Combatterlo con un’azione uguale e contraria è assurdo, come usare un cannone per colpire una mosca. L’unica strada per combattere il terrorismo è la democrazia: fermare il circolo della violenza con un comportamento antiviolento. 
Tutti vorremmo sapere esattamente che cosa è successo, ma purtroppo non sempre questo è possibile. E la storia va avanti lo stesso. A volte bisogna arrendersi all’evidenza come tanti omicidi  come quello di  Kennedy: a distanza di decenni ci sono ancora tanti punti oscuri. Ed è solo un esempio tra mille. Ma questo non significa che dobbiamo rinunciare a comprendere la realtà. Dal mio punto di vista, studiare l’11 settembre significa soprattutto concentrarsi  più sulle sueconseguenze,  che sulla dinamica degli attentati in sé. La democrazia non si può esportare, ma forse, però, è possibile innamorarsene proviamoci .

martedì 6 settembre 2011

Per me le province non vanno abolite come entità territoriale, ma come consigli provinciali , consiglieri ,presidenti e assessori perché ci sono già i prefetti che sono i garanti .

Di fronte alla manovra varata per decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e avallata dal Presidente della Repubblica, vorrei esprimere la mia opinione l’abolizione delle province sia un diversivo per non colpire i veri sprechi e i veri privilegi. Siamo sicuri quindi che il problema siano 110 province in un paese che ha 8.092 comuni (compreso Pedesina con 34 abitanti) Le Province poi nella mia esperienza servono e molto, soprattutto nella gestione del territorio soprattutto al sud martoriata dalla mafia.
Un paio di anni fa si parlava molto a destra e sinistra della possibile abolizione delle Province.Istituite nel 1970, dopo la riforma del Titolo V approvata a maggioranza dal Parlamento nel 2001 (governo Amato), le Regioni sono diventate lo strumento più incisivo nel governo del territorio. Quella riforma, che qualcuno ebbe l’ardire di definire federalista, conferì pari dignità costituzionale anche alle Province, ai Comuni e alle Città metropolitane. A distanza di  anni si continua a discutere di federalismo e di Camera delle Regioni. Ennesima dimostrazione della scarsa vitalità del riformismo italiano. Forse siamo un Paese troppo invecchiato per essere dinamico.  Il governo Berlusconi  continua  a chiede sacrifici agli italiani con una manovra correttiva senza precedenti per dimensioni e rigidità  delle misure, facendo persino impallidire la finanziaria dell’allora governo tecnico di Amato chiamato a stoppare l’inflazione galoppante e la svalutazione della defunta lira. Tutto giusto e legittimo, per carita’, come giusto e legittimo e’ colpire e limitare i privilegi della casta, anche se qualcosa in più si poteva fare sulle indennita’ dei parlamentari e sulle altre caste che infestano il Paese.  Ma come il saggio che  indica  la luna e lo stupido invece  guarda  il dito allo stesso modo, il Governo vara una manovra che massacra regioni e comuni, e tutti ora stanno lì a parlare di trentasei  province da abolire. Lo spot berlusconiano è riuscito ancora una volta, quei “54 mila posti in meno” nelle varie assemblee elettive  alimentano le chiacchiere sotto l’ombrellone e distolgono l’attenzione dal cuore delle misure anticrisi: semplicemente una marea di soldi in meno agli enti locali.    Le Province costano agli italiani 14 miliardi di euro l’anno. Qualcuno ritiene la loro abolizione una proposta populista altri, invece, che vogliono eliminarle innanzitutto dalla Costituzione, si rivolgono ai cittadini che come sempre tace sugli eventi che lo colpiscono.  In pochi pero’ hanno colto un messaggio nascosto nella manovra  il vero conto degli interventi voluti dal Governo nel provvedimento ferragostano alla fine lo paghera’ il Mezzogiorno in maniera tale da bloccare ogni ipotesi di sviluppo ed impedendo di fatto, anche per l’avvento del nefasto federalismo fiscale, ogni speranza di perequazione tra il nord ed il sud del Paese.  Infatti al sud con la manovra d'emergenza disposta  dal Governo, viene praticamente cancellato un capoluogo di provincia   che dopo anni di battaglie si ritrova al punto di partenza. Un sogno a lungo accarezzato  un traguardo raggiunto grazie alla determinazione di uno parlamentare onesto  che si spende senza risparmio di forza e che oggi , al contrario di chi sceglie la via del silenzio forzato o imposto dai partiti scende in campo in difesa del territorio .Si tratta di un'iniziativa semplicemente inaccettabile da contrare  in ogni modo . Non si può alterare, sino a distruggere, l'esistenza stessa di una regione, tutelata dalla Costituzione , per il tramite di provvedimenti della cui ragionevolezza e adeguatezza, francamente, dubito che sia una soluzione . Provvedimenti che scambiano la sacrosanta lotta agli sprechi nella spesa pubblica con la soppressione di funzioni e servizi ai cittadini sul territorio. Una cosa, poi sono i costi della politica che non sono stati incisi neanche superficialmente dai provvedimenti del ministro Tremonti, e una cosa è eliminare enti e istituzioni che supportano la comunità locale e le loro famiglie.   Tutti dobbiamo essere coinvolti in uno sforzo straordinario,in vista di un risultato comune. La Provincia è realmente un organo amministrativo intermedio: deve cioè riassumere alcune funzioni che vanno organizzate a livello sovraccomunale, senza arrivare al livello regionale .“E’ una manovra che aumenta indiscriminatamente le tasse, colpendo sempre i soliti noti e cioè’ le famiglie e il ceto medio italiano; che penalizza ancora di più il Mezzogiorno che con il taglio vero dei costi della politica poco o nulla hanno a che fare. Se pensate che i taglio delle province operato dal governo, produce ulteriori effetti paradossali e negativi, se pensiamo che alla soppressione delle piccole province consegue la soppressione di tutti gli uffici provinciali dello Stato comprese le questure e le prefetture,  una disposizione di questo tipo in Sicilia in Calabria ,in Basilicata  e in Campania  ,  producerebbe un  effetto devastante della scomparsa della Questura e della Prefettura di Enna e di Caltanissetta in Sicilia , di Vibo Valentia e Crotone in Calabria , in Basilicata Matera  con tutto ciò che ne deriva sul piano dell’indebolimento della lotta alla mafia, in territori così largamente interessati al fenomeno criminale. Si tratta di norme che il Parlamento ha il dovere di modificare per contenere i disastri di questa maggioranza e del suo governo a trazione leghista. Forse  le province,  nessuno  le vuole eliminarle  veramente perché il  semplice fatto di mantenere in vita queste strutture nasce da una sola motivazione: il voto di scambio.Ricordiamo che si attribuisce alle province quel ruolo primario nella gestione delle strade, delle scuole, degli asili nido, ospedali, etc… e che la stessa gestione potrebbe ricadere sulla regione e sui comuni senza triplicare poteri ed infiltrazioni.Quindi grazie a queste strutture si mantiene in vita un sistema di dare ed avere in cui i principali benefattori sono, da una parte, i gestori della politica quindi i partiti, dall’altra le organizzazioni criminali che così gestiscono appalti, affari e politica.Ragionando all’eccesso ci figuriamo uno strano parallelo tra i consiglieri provinciali e di quartiere ed i manovali della mafia, n’drangheta, corona unita e camorra .
Come la manovalanza criminale è pagata per esercitare il controllo del territorio, cosi’ la politica paga i consiglieri nei loro vari gradi di competenza per esercitare lo stesso controllo che esercitano le cosche mafiose.Abolire, quindi, le province ed i consigli di quartiere se da una parte potrebbe risanare la situazione finanziaria dei territori, dall’altra pare urtarsi con gli interessi mafiosi.Perciò la criminalità  insieme alla politica, mai potrebbero accettare una riduzione così evidente di potere e soprattutto di combutte affaristiche.  Bisogna ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l'efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui . 

Francesco TIANI