giovedì 21 ottobre 2010

Le tre S …Sviluppo …Scuola… Sicurezza…



Che cosa intendiamo quando parliamo di sviluppo  …..  è qualcosa a cui si può essere educati  ….  chi  ci  dovrebbe educare   ….e quale dei due termini è prevalente: lo sviluppo è una branca dell’educazione o l’educazione è uno dei fattori dello sviluppo…… molti  rifiutano ormai questo termine e parlano invece di educazione interculturale o educazione alla mondialità o alla globalità.
Il Pil non cattura in pieno la realtà italiana e quindi va ripensato…. se fossero calcolati  sulla base dell'ambiente… della cultura… della bellezza della storia e del clima, l'Italia si troverebbe in una imbarazzante prima posizione….. ma i soldi non fanno la felicità né, tantomeno, il benessere. ….se alla classifica del vecchio Pil, calcolato secondo i parametri tradizionali e sempre più crisi di credibilità, si sostituisce quella  dell´indice della «Qualità regionale dello sviluppo», le cose si modificano radicalmente e quasi si capovolgono.
È questa la nuova mappa della felicità, alla quale in qualche modo dovremo cominciare ad abituarci, se in futuro – come molti indizi fanno pensare – il Pil verrà se non accantonato, affiancato da nuovi indicatori, sociali, ecologici in grado di fornire un quadro molto più attendibile della qualità della vita nel pianeta.
Fino ad oggi la crescita economica è stata considerata, di fatto, l’unico indicatore con cui valutare la prosperità dei popoli. I freddi numeri del Prodotto Interno Lordo – cioè il valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti – hanno orientato le politiche globali. Questo criterio di valutazione è basato esclusivamente su elementi quantitativi e, insieme all’ideologia neo-liberista, ha guidato fin qui lo sviluppo capitalistico.
È il momento di cambiare…. i segnali che ce lo impongono sono tanti: la crisi economica causata dal dominio della finanza e dei suoi metodi speculativi sulla politica e sull’economia…. l’inquinamento crescente e i gravi danni arrecati al nostro pianeta….. l’acuirsi delle disuguaglianze sociali e della forbice tra ricchi e poveri…. al  divario tra Nord e il  Sud…….il peggioramento delle condizioni dei lavoratori…… il diffondersi delle malattie psicosomatiche da stress…..
Per testare lo stato di salute della società occorre tenere conto delle variabili qualitative che determinano il benessere. Restituendo alla persona umana la centralità nelle nostre valutazioni, occorre tenere in considerazione la diffusione della ricchezza, l’accesso alla istruzione e alla cultura, il livello di serenità e salute degli abitanti, la qualità dell’aria, del suolo e delle acque, la vivibilità delle città, il tasso di criminalità, la sostenibilità dell’utilizzazione delle risorse naturali.
Il dibattito sul superamento del PIL non è nuovo: nel 1968 Robert Kennedy disse che «non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del PIL. …Negli ultimi anni il confronto sul tema ha ripreso vigore di fronte all’evidenza di uno sviluppo distruttivo che rischia di essere una strada senza ritorno. In Italia di questi temi si parla troppo poco. Il nostro Paese, invece, ha bisogno  di un piano per uno sviluppo nuovo e sostenibile. Il governo  non se ne occupa affatto….. è  un atteggiamento miope che non tiene conto del desiderio di benessere complessivo da parte dei cittadini né della necessità di garantire un futuro prospero ai nostri figli.
 Dal punto di vista dell’educazione allo sviluppo,  sono sempre stato consapevole che i problemi dell’umanità non sono generati, e non possono quindi essere risolti, all’interno dei confini nazionali; che viviamo in un mondo sempre più interdipendente, dove qualunque attività  finanziaria… bellica.. ambientale…. sociale …. di un paese ha legami con quanto accade in altre zone del pianeta e che qualsiasi intervento di educazione allo sviluppo non potrà, pertanto, prescindere dalla consapevolezza di queste interrelazioni complesse e che necessiti anzi di un approccio “globale.
 Il fine ultimo dell’educazione allo sviluppo è quello di consentire il passaggio dalla fase di sensibilizzazione a quella dell’impegno concreto, contribuendo così a modificare comportamenti ed atteggiamenti dei cittadini dei paesi industrializzati affinché si impegnino in favore delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, non solo per solidarietà, ma per consapevolezza di un destino comune.
Nel corso di questi cinquant'anni successivi alla seconda guerra mondiale l'Italia ha conosciuto rilevanti trasformazioni economiche e sociali. Ma numerosi e complessi rimangono tuttora i nodi da sciogliere. E la transizione dalla prima alla seconda Repubblica ….di cui non è ancora possibile prevedere l'esito finale né in ordine all'assetto istituzionale né sul terreno degli equilibri politici…. moltiplica gli interrogativi sulle prospettive e sulla stessa identità del nostro paese. La crisi economica che  si è abbattuta  addosso non solo fa acqua da tutte le parti, ma continua e rendere sempre meno vivibile il nostro amato sud. Un modello che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Che continua a privilegiare i più forti e ad abbandonare per strada i più deboli. Una manovra  economico-finanziaria fatta dal nostro governo, ci dicono, necessaria, ma che, come sempre, viene pagata solo nostro  popolo ormai in ginocchio da anni , che vive giorno per giorno  sperando in un miracolo che possa cambiare la loro misera vita .  Le caste continuano a non essere toccate e le rendite finanziarie a non essere tassate. ….
La storia avrebbe dovuto insegnare che gli avvenimenti umani non procedono  verso situazioni necessariamente migliori  e che il progresso  , come conosce l’evoluzione , conosce anche l’involuzione . Il Ministro , Gelmini , ha imposto al cammino riformatore un brusco cambiamento di direzione , qualcosa che assomiglia molto ad una inversione ad U.
Voglio aggiungere che la qualità delle scuole è strettamente collegata alla qualità del contesto sociale e culturale , per cui ci sono buone scuole del nord nelle quali insegnano insegnanti del sud , che non sono certo stati miracolati nel loro non facile viaggio di emigranti in Italia . E ci sono scuole nel sud dove gli insegnanti andrebbero elogiati e non vituperati  , perché entrano in aule fatiscenti , frequentate da bambini , ragazzi  che vi arrivano con storie di disperazione alle spalle  , e cercano le parole per far loro capire che il mondo non è il vicolo maleodorante delle loro scorribande , che il futuro non è necessariamente una strada senza uscita.  Dentro le scrostate pareti dell’aula , suonano lontane e vuote le nuove parole d’ordine : merito , successo , competizione .…..note surreali sullo stato dell’ istruzione nel nostro paese. Dall’ idea, appunto, che la scuola meridionale sia l’ultimo anello di una lunga catena di civiltà, che da Hegel porta a Vico, fino alle fonti perenni della sapienza classica; all’ immagine, più recente, di un attentato alle basi stesse dell’istruzione popolare per mezzo della soppressione del modulo nella scuola elementare. Immagine che poggia, a sua volta, su un’altra leggenda che fiorisce sul terreno della scuola italiana, e cioè che in Italia la spesa pubblica in materia di istruzione sia largamente inferiore a quella di altri paesi, in Europa e in Occidente………..i tagli del governo sulla  scuola hanno  cancellano uno dei pilastri della riforma Moratti: quella delle tre "I" Inglese, Impresa,  Informatica  ……ridimensionamento dell'insegnamento dell'informatica  e dell’inglese all'interno della scuola italiana…a  mio modesto  parere  è stato negativa, non c'è dubbio, ma a parte la polemica politica, occorre fare una considerazione che va al di là dell'idea dell'informatica  e dell’inglese come puro supporto tecnico, di conoscenze scientifica o di facilitazione per l'inserimento del mondo del lavoro…..ormai queste discipline  utilizzate  attraverso molteplici strumenti dai nostri ragazzi e bambini, è ben più di uno strumento: è un mondo educativo, di relazioni, che modifica la percezione della realtà e lo stesso sistema di riferimenti cognitivi ed "informativi" dei nostri figli.
E' ben più di uno strumento, è una "chiave" di comprensione della realtà, è il modo attraverso il quale i  nostri bambini e ragazzi vivono la loro conoscenza, le relazioni, il loro tempo sociale e personale.
Ecco perchè credo che nella scuola l'attenzione all'informatica debba essere sempre presente, ma - allo stesso modo - chieda di essere rimodulata, e declinata non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto da quello educativo e pedagogico.
Cosa che la scuola italiana non potrà neppur più "pensare di fare" se le risorse …..già poche ….. venissero ulteriormente tagliate. 
L’ Italia ha bisogno anche  di un processo di innovazione di carattere organizzativo funzionale con obiettivo di fornire risposte strutturali e durature alla crescente domanda di sicurezza dei cittadini , cercando soluzioni , condivise in fondo di favorire processi collaborativi con le componenti della società civile. Ci vuole una nuova idea di sicurezza determinata nel concreto da una serie di iniziative convergenti , che rendono al cittadino più agevole , umano e gradevole il rapporto con gli operatori  d’ordine e più fruibili i relativi servizi  nell’ ambito di una concezione della sicurezza del territorio strettamente connessa , in un senso evoluto  ,alla sicurezza   intesa  , nel contesto sociale attuale , quale bene primario la cui protezione è propedeutica al pieno esercizio della libertà fondamentale.
C’è l’idea che non è con la difesa della sicurezza che si può garantire la vita civile, ma occorre la prevenzione; la convinzione che la devianza criminale ha alla base le disuguaglianze e quindi bisogna lavorare nei tempi lunghi, potendosi anche trascurare nei tempi brevi il problema della difesa del cittadino…… ma noi  poliziotti siamo figli di tutte le opposizioni .ma orfani di tutti i governi”, gridano i poliziotti,  in silenzio …ricordando con amarezza  come l’attuale  ministro Brunetta  ha definito i poliziotti “panzoni”….. ma  del resto, quando non si dà la possibilità ai giovani di accedere al servizio direttamente, dopo un concorso pubblico e ci si limita a preferire chi ha già svolto un anno nell’esercito, in marina o nell’aeronautica, il turn over non è proprio semplicissimo. L’età media dei poliziotti si è innalzata a 43 anni, e le pance crescono. “Non ci sono concorsi pubblici dal 1996  allora è come dire ad un ingegnere che, prima di poter svolgere la professione, deve fare un anno da capo cantiere. Una scelta, tra l’altro, che penalizza le donne, che ci pensano due volte prima di farsi un anno nell’esercito”.

Per non parlare dei mezzi di trasporto: poche auto, vecchie e bisognose di manutenzione, oppure non ancora immatricolate perchè non ci sono i soldi per farlo. O della tecnologia: negli sportelli-denuncia non esistono computer che siano in rete con le procure, o mail certificate. Questo significa che ogni mattina un poliziotto parte dal commissariato e si reca in Procura per le segnalazioni. Uno spreco di tempo e di denaro enormi, a fronte dei tagli che sono stati operati negli ultimi anni per il comparto sicurezza.

Gli ambienti di lavoro sono spesso fatiscenti, in qualche caso – denunciati      più volte da noi sindacati
……e poi sentire la proposta del ministro Maroni  che alla polizia vengano destinati i soldi recuperati con lo scudo fiscale o sequestrati alla mafia.  Che vergogna ….. gli stipendi di chi ci deve difendere avranno l’odore di chi delinque.
  ….Si sta creando una società insostenibile. I nostri ragazzi oggi vivono di sole incertezze, di  precariato ..ai giovani del sud  non è concesso fare progetti, perché vengono continuamente derubati di ogni minima sicurezza per il futuro.
Un soffio di speranza ……  allargando il più possibile il dialogo a tutti quelli che sentono l’inquietudine del presente e del futuro,  perché credono  fermamente che   sia l'ultima speranza per ridare   dignità  al popolo del sud…. .


Francesco TIANI

venerdì 15 ottobre 2010

Io


Questo scritto non vuole avere il sapore di un’accusa, ma, se mai, intende essere il grido di chi cerca di capire dove e come le buone intenzioni iniziali abbiano finito per lastricare una strada per l’inferno  dominato dalla regola dell’appartenenza.
Ho  due  figli, ma ogni volta che ci penso  riesco a pensare solo ad un aspetto della loro educazione: lottare sempre per quello in cui si crede….mai cedere ….mai rassegnarsi e mai passare dalla parte del torto.
Anch'io tuttavia rischio un po' la rassegnazione e ogni volta che sto per cedere uno scatto d'orgoglio mi rimette in sella, anche contro la mia volontà, è più forte di me...
Purtroppo  penso che l'uomo potrà procedere sempre e solo nella sofferenza … negli scatti d'orgoglio di coloro che non si rassegnano, perché a ben guardare ogni epoca ha le proprie motivazioni, connesse con la propria educazione.
I miei genitori, nati durante la guerra, hanno vissuto in un tempo in cui dopo tanto doloro si risorgeva dalle ceneri, c'era una voglia diffusa di onestà….. di disciplina…. di lavoro onesto.  Quando sono cresciuti hanno creduto  di aver raggiunto l'obiettivo  e ingenuamente di poter regalare ai propri figli tutto quello di cui avrebbero avuto bisogno senza costringerli a combattere per i propri diritti.  Noi, i figli, siamo cresciuti convinti che tutto ci sia dovuto. Ecco perché oggi siamo ridotti a questo….ecco perché   non ci sono giovani che lottano e muoiono per i diritti . Oggi sono solo poche voci ….giovani o meno giovani ….che lottano per un principio, i più lottano per entrare al Grande Fratello, e fare un po' di soldi facili.
A vedere la nostra situazione in questi anni ho sempre pensato che noi italiani siamo l'unico popolo capace di mettersi a scavare ogni volta che tocca il fondo, ma forse arriveremo un giorno a toccare un fondo più fondo di tutti, e i ribelli cresceranno di numero. La rivoluzione etica…..morale si farà.
Poi i ribelli si illuderanno di nuovo di poter dare ai propri figli tutto, senza farli soffrire troppo, e tutto ricomincerà.
Non voglio  costruire un mondo tutto bello e tutto puro che non può esistere. …so  bene che la perfezione non è di questo mondo. …..Il nostro mondo non è un mondo sognato, ma questo mondo imperfetto, ma vissuto . …  la mia utopia? …..Nel non accettare che l’esistente non possa essere migliorato, nel non ritenere ineluttabile ciò che ineluttabile non è; nel rendere ossequio ai tanti utopisti del nostro tempo:  Falcone….. Borsellino…. i quali furono grandi, nella loro utopia, perché in una patria smarrita non si smarrirono; non invocarono alibi per giustificare la fuga dal “dovere”, un dovere cui resero ossequio non in forza di un risultato ritenuto sicuro, ma per realizzazione compiutamente ciò che un uomo è chiamato a essere
.. Non ce ne staremo perciò con la testa tra le nuvole e i piedi sollevati da terra, ma, al contrario, terremo i piedi ben piantati nel terreno e guarderemo in faccia la realtà, cercando di far vivere in essa i nostri ideali, perché un’ideale che non si  avvera nella realtà è poco meno di un sogno…..
La giustizia in Italia non funziona (non “funziona male”, proprio “non funziona per niente”). E non funziona non per motivi accidentali, per qualche inconveniente del momento, ma proprio per una precisa scelta politica.
Francesco TIANI

mercoledì 13 ottobre 2010

…..vergogna una tifoseria sempre più malata….




Il calcio è un gioco…. uno sport… ma anche  un business e  una vetrina per chi vuole mettersi in mostra e chi vuole guadagnare. L'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, ha pubblicato un documento nel quale evidenzia una graduatoria delle tifoserie più  pericolose del nostro paese. La leadership è partenopea e non per atti di violenza in se, ma per vandalismo … furti … devastazioni durante la sosta in autogrill e nelle città ospitanti  …le tifoserie  sono  protagoniste di  episodi di violenza sugli .
Sicuramente anche voi  ’ starete  seguendo il terremoto che ha colpito il mondo del calcio.
…una passione che ti prende da piccolo , inspiegabile , spesso irrazionale ,che ti porta a gioire , tremare , soffrire , sobbalzare addirittura a piangere per la squadra del cuore o urlare come un matto forsennato , col cuore stracolmo di gioia e i pugni protesi verso il cielo , per una palla di cuoio che rotola nel fondo della rete della porta avversaria ….. io rimango ancora attaccato ai colori di questa squadra di un tempo  che mi ha regalato parecchie emozioni… Alla  mia Grande Juve…. La Juve  dell’Avvocato Agnelli ..di Platini…Boniek … Scirea …..di Bettega  ….Baggio 
 Ultimamente il calcio  e’ diventato una  vergogna  i contratti milionari dei giocatori… le  scommesse clandestine, tifosi  pericolosi che  non dovevano  e non devono arrivare negli stadi .Avrei voglia di radunare ora tutti gli appassionati di questo sport che abbiamo appreso ai tempi dell’oratorio, quando si giocava senza la malizia e scorrettezze , quando la tifoseria era piacevole ….. tutti....juventini, milanisti, laziali,  interisti …e dire a tutti loro:” vergognamoci di questo calcio … boicottiamolo , non compriamo piu’ un biglietto, non guardiamo piu’ nessuna trasmissione sportiva, nessun abbonamento a digitali che trasmettono calcio..salviamolo e salviamoci. La violenza negli stadi non ci sarebbe se i tifosi fossero mischiati fra’ di loro, sono in effetti le congregazioni di tifosi che sono pericolose e generano violenza, in gruppo si sentono dei Leoni ,scortati dalla polizia o dietro delle recinzioni poi si sentono dei leoni protetti.
Mischiandoli e’ un altra cosa, ci si pensa  tre volte prima di provocare perche’ bisogna prima guardarsi di continuo le spalle.
I metodi attuali per controllare le folle ottengono sempre il risultato opposto ….. creano l’effetto medesimo di un branco di pecore che quando si trovano in gruppo non sono certo accreditate per la loro intelligenza.Forza incominciamo  …… forse dopo vedremo un gioco vero, corretto, piu’ bello e spettacolare..Ieri a Genova  l'apparato di sicurezza predisposto dalle autorità italiane è stato adeguato. I controlli sono stati accurati, ma evidentemente chi ha intenzione dolosa di far entrare fumogeni in uno stadio, vi riesce, come dimostrano anche  tante  vicende .  …. come sempre  ci sono le lacune nelle comunicazione   questa volta  riguardavano  sia il numero dei tifosi, molti dei quali avrebbero raggiunto Genova sprovvisti di biglietto, sia profili caratteristici di alcuni gruppi di tifosi  ultrà ospiti che non sono stati segnalati alle autorita' italiane…
Maggior repressione e sempre più pressanti forme di controllo sociale porteranno sempre più acqua al mulino di una progressivamodernizzazione del calcio. Ci vuole un calcio moderno pronto a sacrificare la passione e il colore del tifo organizzato in nome del profitto e del libero mercato, per trasformare ogni singolo tifoso in un semplice consumatore, in uno spettatore acquirente del prodotto calcio….   non un  ultrà  aggressivo .  Ci vogliono norme per ostacolare le trasferte dei tifosi e per favorire gli abbonamenti alle tv a pagamento;Anche ilresponsabile dell’Ordine Pubblico dello stadio qualora ritenga che uno o piùstriscioni esposti dai tifosi siano d’incitamento alla violenza o alla discriminazione razziale, ha facoltà di rivolgersi ai collaboratori dell’arbitro per ordinare la sospensione della partita .L'anticostituzionalità di misure prese nei confronti dei tifosi italiani come il divieto di assistere alle trasferte della propria squadra o persino alle partite casalinghe quando l'accesso alla gara viene riservato ai soli residenti della provincia di riferimento,. Su quelle che verranno prese nel futuro ormai prossimo, a cominciare dalla famigerata "tessera del tifoso”….. per non dimenticare  com è  morto  l'ispettore del reparto Mobile, Filippo Raciti, di 38 anni, sposato con due figli, ucciso in una notte di follia calcistica dopo il derby Catania-Palermo ….sposato con due figli, ucciso in una notte di follia calcistica dopo il derby Catania-Palermo il  colpo di spranga e poi una bomba carta tirata dentro l'auto di servizio.. era e resta un eroe ….un servitore dello stato ….anche lui morto in servizio ……

martedì 12 ottobre 2010

….. l'ennesima giornata di lutto per l'Italia….


Altri quattro militari italiani sono stati uccisi  in Afghanistan, vittime di un'imboscata a Farah……  ragazzi che torneranno in Italia all'interno di una cassa mortuaria e saranno salutati, per l'ultima volta, con i funerali di Stato. …..un film già  visto tante volte ormai..  34 sono  i nostri soldati uccisi in questa guerra senza senso. …..
Un altro grande dolore, un’altra ferita per l’Italia, la perdita di quattro vite umane… …la Puglia perde un altro figlio…  il ricordo  ancora vivo di  Luigi Pascazio  il 17 maggio…… la morte di questi giovani coraggiosi militari italiani, vittime di una guerra senza senso e senza  fine … 
…La cosa più dolorosa che di loro  si parlerà  solo per   una settimana. …. e poi  come sempre il dolore resterà   solo  alle famiglie

Oggi e' il giorno del lutto…. del silenzio, ma sono  troppi i silenzi su queste missioni così dette  di “pace”…..trasformate in missione di “guerra”   . Io  credo   che la nostra Costituzione, proprio in quanto espressione dei valori
e degli ideali più autentici di cittadini che sono italiani e nello stesso tempo aperti al mondo, dovrebbe dichiarare senza ambiguità di fare suoi i principi fondanti di un’organizzazione mondiale istituita proprio per garantire un diritto umano
fondamentale, dal quale dipendono molti altri. Infatti se ogni diritto ha evidentemente una sua importanza, pare difficile ipotizzare una piena realizzazione del diritto allo sviluppo o alla salute o all’istruzione in condizioni di guerra.
Con il rapido e progressivo mutare dello scenario internazionale del “dopo 11 settembre” e con l’apertura di un periodo di più diretto impegno italiano nel concorrere ad assicurare la pace, il rispetto dei diritti umani e la sicurezza internazionale, si sono aperte nuove prospettive in cui l’uso della forza militare diviene strumento e garanzia dei beni essenziali e comuni dell’ordine e della stabilità internazionali quale risposta e sfida del mondo democratico contro la conflittualità non convenzionale diffusa dal terrorismo internazionale di natura politico-religioso.
 Nelle  missioni di pace all’estero  si è sempre più manifestata la necessità di norme “ad hoc” attinenti alla speciale condizione di  “non guerra “ , costituita dall’esperienza di certe operazioni di “peace-keeping”…."il mantenimento della pace”

Nonostante la delegittimazione di ogni circostanza di guerra e persino l’abbandono del sostantivo guerra dal lessico giuridico e da qualsiasi espressione dello Stato democratico,  paradossalmente - nella inconsapevolezza dei cittadini e con ogni probabilità anche del personale impegnato – tutte le missioni militari condotte dall’Italia fino al 1990 vennero svolte sotto la giurisdizione del codice penale militare di guerra .
La crisi internazionale in atto e l’aggressività manifestata dal terrorismo internazionale hanno riportato all’attenzione sia il problema della disciplina dell’uso della forza militare nel nostro ordinamento, che quello della copertura giuridica da dare ai nostri Corpi di spedizione all’estero per operazioni armate. 
In pochi anni l'Esercito italiano ha fatto notevoli passi avanti in moltissimi campi. ….una struttura decorosa e degna di rispetto, ma  anchilosata da tanti anni di stasi, rifiutata o ignorata dagli Italiani e lasciata in uno stato di semi abbandono da parte di una classe politica rigorosamente militesente, ha dovuto rapidamente adeguarsi al nuovo quadro internazionale e alle nuove esigenze della nazione.
Divenuto funzionale alla politica estera, l'Esercito si è riorganizzato in tempi strettissimi e spesso dolorosamente. Ciò ha del miracoloso, se si pensa che questo cambiamento epocale è avvenuto nell'assoluta indifferenza dell'opinione pubblica e contemporaneamente al più intenso impegno operativo del dopoguerra..
L'Esercito si è ridotto di quasi due terzi ed è diventato molto più snello. Gli equipaggiamenti, le armi e i mezzi sono  inadeguati ai compiti da assolvere. Il sostegno logistico dei reparti operanti all'estero è  non sono aderente alle necessità. Spostare migliaia di soldati e di tonnellate di materiali in tutto il mondo mediante trasporti multimodali è diventato routine.
Un Esercito serve per combattere… per vincere le guerre o, meglio ancora, per dissuadere gli altri a farci la guerra, ma nella realtà così non è. Assurdi pudori, scarsa lealtà e chiarezza nei confronti dei cittadini, decenni di parlare ambiguo hanno impedito e impediscono di chiamare le cose con il loro nome e di valutarle per quello che sono in realtà. In passato, credendo forse di renderle bene accette a un'opinione pubblica mal disposta, le Forze armate italiane e l'Esercito in particolare sono state presentate dagli stessi capi militari come una specie di organismo tutto fare, sempre pronto ad accorrere per integrare o sostituire  polizia ,vigili del fuoco, protezione civile, organizzazioni umanitarie.
Parole come guerra, uccidere, morire vennero di fatto bandite. Questa strana ambiguità ha impedito all'Esercito di fare il necessario salto qualitativo e ha provocato conseguenze negative nel campo del reclutamento, della formazione, dell'addestramento, dell'acquisizione di materiali, delle operazioni.
E' un'ambiguità che sussiste anche oggi con un Esercito professionale perché bene accetta da una classe politica - sia di destra sia di centro sia di sinistra - che lancia il sasso e ritira la mano e che non ha il coraggio di presentare i fatti nella loro cruda realtà. Da questa ambiguità derivano una serie di equivoci che vanno necessariamente chiariti, di luoghi comuni che vanno sfatati perché lo strumento militare possa essere in grado di affrontare adeguatamente i rischi e le sfide che il futuro ci riserverà. Per questo è bene rivisitare alcuni concetti fondamentali, logorati da un uso spesso distorto e formulare in merito alcune considerazioni. Il primo concetto da chiarire è: a cosa servono i soldati.
……..I soldati sono fatti per combattere ….. vincere un nemico. Combattere vuol dire saper usare la violenza in maniera intelligente ed efficace, saper uccidere quando necessario e mettere in conto che si può essere uccisi. Vuol dire riscoprire un'etica del combattimento dove i vigliacchi e gli eroi siano ben identificati senza ambiguità. I soldati sono i professionisti dell'impiego della forza, coloro che devono saperla impiegare senza eccessi, senza compiacimenti –
………. Il soldato è  un cittadino che si è arruolato perché è disposto a combattere per il proprio paese. Di conseguenza è errato ammettere l'esistenza di soldati di pace e soldati di guerra. I soldati sono soldati e basta e come tali devono saper fronteggiare situazioni di guerra, questo è il loro compito istituzionale. E' il potere politico che ha la responsabilità morale di impiegarli per finalità giuste
Anche l'espressione "missioni di pace" va rivista e chiarita. L'opinione pubblica comprende con difficoltà perché un soldato addestrato e dotato di costosi equipaggiamenti da guerra debba partecipare a missioni di pace. Tale definizione fa sembrare secondario l'uso delle armi, quasi fosse un fastidioso optional. Le figure del soldato, del poliziotto, del vigile del fuoco, del funzionario dedito a missioni umanitarie si mescolano. La gente non sa più distinguere le caratteristiche di ognuno e rischia di ritenerli intercambiabili.
Per queste ragioni è più appropriata l'espressione….. “missioni di guerra per il mantenimento della pace”….. Impiegare un costoso e prezioso strumento militare per compiti esclusivamente pacifici sarebbe uno spreco che non potremmo permetterci, se non obbligati da eventi di eccezionale gravità e in mancanza di idonee alternative.
Un altro equivoco riguarda la guerra. Se ne parla tanto ma pochi la conoscono veramente. Si sente ripetere: "La guerra non ha mai risolto nulla". E' un falso, è una tragica menzogna che induce a sottovalutare questo pericolo sempre immanente e a credere di poterlo sconfiggere solo con le chiacchiere.
Le guerre hanno fatto la storia, le guerre hanno cambiato il mondo, cancellato civiltà, punito aggressori e sterminato innocenti per millenni. La guerra è un mostro assetato di sangue, alimentato dal male insito nell'animo umano. Non si elimina con le belle parole e le bandiere arcobaleno. Va studiata a fondo, analizzata e finché possibile prevenuta o neutralizzata con ogni mezzo pacifico, iniziando con il bandire la violenza dai rapporti interpersonali. Certo, è più facile a dirsi che a farsi.
In realtà, dalla storia emerge evidente una triste verità: che i periodi di più lunga pace sono stati quelli imposti con le armi, quelli in cui gli aggressori sono stati sconfitti o tenuti a bada con forze deterrenti o in cui sono stati gli aggressori stessi, vincitori, a imporla ai vinti.
Per noi figli della pace, educati al rispetto e alla non violenza, la guerra è incomprensibile, assurda.
Ma la guerra è il regno dell'imprevisto, il campo dove volontà e intelligenze si scontrano per sopraffarsi, pertanto nonostante tutti gli accorgimenti si muore e si continuerà morire. E' un miracolo quando ciò non succede e tutti tornano a casa.
Esprimo profondo cordoglio alle famiglie delle vittime … rimanendo   sempre vicino  a tutti quei soldati impegnati in missione e che quotidianamente mettono a repentaglio la propria  incolumità  per onorare la  Patria .

 Francesco TIANI

venerdì 8 ottobre 2010

IL SINDACATO UN SOGNO........................





Perché si entra in Polizia?
Si sceglie di diventare poliziotto perché l’istinto di difendere i deboli fa parte del dna; perché soccorrere chi è in pericolo è più forte di ogni altra remora; perché si ha uno spiccato senso della giustizia; perché si è convinti che la cornice di sicurezza favorisca il progresso della comunità.

Sono tante le motivazioni profonde che incidono sulla scelta di intraprendere questo rischioso mestiere. E nessuna di esse sfiora la più cinica delle spiegazioni  che poi si sostanzia nell’idea - falsa - di avere una occupazione retribuita, ossia il classico posto di lavoro che permette di vivere. Barano coloro che evocano questa genesi motivazionale, confondono le carte perché non vogliono riconoscere, spesso a loro stessi, gli alti e valori che ispirano una scelta così complessa.

Come infatti spiegare altrimenti le tante rinunce e i svariati sacrifici, le carenze logistiche legate ai permanenti stati di crisi finanziaria, il senso di solitudine paradossalmente associato ad un mestiere che si svolge tra la gente e per la gente, con l’ombra nera della morte violenta in agguato che flagella i sogni più agitati e pompa nelle vene adrenalina nociva?

La verità è che un poliziotto resta tale per sempre, perché si sente così fin dal profondo della coscienza.

Ecco perché non ho difficoltà ad affermare che dal giorno dell’assunzione ad oggi, avverto immutato lo stesso senso di umile orgogliosa appartenenza. Nel corso della mia pluriennale attività, ho sempre creduto negli insegnamenti dei colleghi più anziani e questo spirito di corpo, questa unione finalizzata a promuovere sicurezza e quindi benessere, ha mantenuto costante la motivazione di fondo.

E provo anche un moto di rabbia perché vorrei fare di più per la comunità. Infatti la sera, di rientro dall'Ufficio, avverto un senso di impalpabile insoddisfazione poiché nonostante l’impegno quotidiano, mi rendo conto di stare sulla linea del fronte, dove si avverte un acuto senso di frustrazione per i limiti insormontabili che si frappongono alla realizzazione di un progetto e dove la buona volontà e l’ingegno creativo a volte non bastano. 

Ed è così ogni giorno, ogni santo giorno.

L’ho consapevolizzato io e lo hanno compreso gli inseparabili colleghi, veterani di tante pagine amare, disincantati certo ma mai afflitti da un senso di ineluttabile sconfitta. Combattenti, con una metaforica lampadina di riserva in tasca, pronta ad illuminare i recessi più bui della caverna di Platone e poter distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il torto dalla ragione. Chi non è “sbirro” ha difficoltà a comprendere questo passaggio mentale che può sembrare utopistico, ma che rappresenta la roccia fondante di uomini e donne con le iniziali maiuscole.

Purtroppo, non da oggi, i poliziotti vivono una profonda lacerazione perché nonostante siano capaci di comprendere le sfaccettature di una realtà complessa, vengono spesso agitati da un forte vento di incomprensione generale.  Le pietre, le spranghe di ferro, gli insulti  di essere servi dello Stato, trafiggono l’anima prima ancora che la carne. E spesso deflagrano con bombe giudiziarie che distruggono immeritatamente intere esistenze votate a proteggere la sicurezza interna.

Queste sono le ragioni profonde del malcontento generale dell’intera categoria.

Ma non bastano queste difficoltà per disaffezionarsi alla onorevole uniforme. Infatti, il lavoro non deve essere inteso nella sua accezione giuridica ossia come scambio sinallagmatico di prestazione d’opera cui corrisponde l’obbligo retributivo. Il lavoro è il primo veicolo di auto-realizzazione e di integrazione sociale; è nel lavoro che le persone sperimentano la giustizia o l’ingiustizia, il rispetto o il disonore.

Allora gettare la spugna significherebbe che gli ideali non sono poi così forti, significherebbe ammettere che i valori si incrinano di fronte alle inevitabili salite della vita. Significherebbe generalizzare pregiudizi che invece sono di pochi, perché la società civile ha fiducia nelle istituzioni, perché gli occhi grati di una persona indifesa che si sente finalmente protetta non ha prezzo, perché la parte vitale del Paese è con l’uniforme blu e azzurra della Polizia di Stato.

Tanti anni trascorsi in Polizia hanno favorito una crescita scandita da soddisfazioni acute e delusioni acide, e anche da quel senso di temporanea resa di fronte alle tragedie umane di cui sono stato testimone negli innumerevoli interventi operativi. Ho vissuto accanto al pianto inconsolabile di figli per i genitori morti e di genitori straziati per i figli morti, ho percepito la solitudine di fondo di persone che chiamano il 113 solo per sentire una parola amica nel deserto affollato in cui viviamo. Rivedo le migliaia di volti che sorridono e strappano un sorriso, bambini che talvolta, spinti dalla insaziabile curiosità, chiedono se sono veri gli inseguimenti spericolati che si vedono nei film.
 
Ma ripenso anche agli occhi vitrei, spenti per sempre, dei colleghi uccisi per mano violenta: concludono la loro esistenza su un tratto di strada periferico. Poliziotti con un forte senso di responsabilità nei riguardi del servizio e dello Stato, inflessibili custodi della legge anche a costo di sacrificare il bene supremo.

Allora questo scenario si ricongiunge in un'unica spiegazione che ha tante sfaccettature: l’amore per la verità, la voglia di mettere a tacere il grido del sangue dei colleghi morti per mano violenta, la voglia di favorire il riscatto di un intero Paese, la voglia di leggere negli occhi della gente la gratitudine per il lavoro ben fatto.

In questo percorso, umano e professionale, un punto frattura si colloca nel 1993 con gli attentati di Roma, Milano e Firenze. Questi attentati di matrice mafiosa riportarono in Italia un clima che si pensava appartenere al passato. E ciò accadeva proprio mentre le indagini di Mani Pulite, esplose nel 1992, avevano svelato la diffusa corruzione del potere politico.

La concentrazione ravvicinata di questi eventi, guarda caso proprio qualche anno dopo il crollo del muro di Berlino, non appariva casuale e non rappresentava soltanto la drammatica fine di una fase storica: era legittimo pensare che quello scenario rosso sangue fosse un segnale della ricerca da parte della mafia di un nuovo equilibrio con il potere politico.

Purtroppo, sembra che da allora non siano stati fatti passi in avanti migliorativi. Infatti, provo una certa amarezza nella constatazione, ormai quotidiana, di quanto sta accadendo per la giustizia, e avverto la netta sensazione che si stia affermando un senso di nichilismo privo di valori collettivi condivisi e produttivo di una manipolazione cinica delle regole. Questo decadimento vale in via generale: nei rapporti tra politica e magistratura, nelle relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e Presidenza della Repubblica e organi di garanzia. A mio avviso, l'intero sistema istituzionale, è sottoposto ad un'azione di "destrutturazione".

E in questa opera distruttiva vengono umiliati i valori che le istituzioni rappresentano.

L’Italia è in piena crisi. In una democrazia dove i governi durano poco e cambiano in continuazione è difficile che essi  si rendano conto di ciò che fanno o non fanno e di cosa abbia bisogno il popolo.  L’ instabilità è un incentivo all’opacità di chi è invece eletto per tracciare una rotta sicura che ci porti lontano dalle secche della crisi economica. Purtroppo, la scarsa sensibilità palesata dalla classe politica ai problemi della gente comune, rappresenta un grosso handicap per la democrazia: dovrebbe instaurarsi la cultura della rendicontazione puntuale e trasparente. Solo così sarebbe   possibile stabilire “chi è responsabile di cosa” poiché in una democrazia parlamentare non dovrebbero esserci decisioni sottratte a verifica. 

Anche perché queste decisioni si riflettono sul futuro del Paese e sul destino dei lavoratori. Sono trascorsi quarant’anni dal 20 maggio del 1970 quando venne approvato  lo Statuto dei lavoratori. Tale legge costituisce ancora oggi il pilastro dei diritti e delle libertà dei lavoratori e dei sindacati. Essa è lo strumento che rende cogente i principi della Costituzione sulla tematica del lavoro e della sua rappresentanza sindacale.

In questo humus storico, arricchito dagli insegnamenti paterni consolidati da esempi concreti, ho deciso di seguire  i miei ideali,  diventando  sindacalista convinto nel propugnare e rivendicare il principio costituzionale per il quale l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Tale principio postula che i lavoratori siano alla base delle strutture economiche, sociali, e che gli interessi dei lavoratori debbano essere considerati prevalenti nei confronti di altre istanze configgenti. Ciò significa che chi attenta al lavoro e alla dignità dei lavoratori, attenta alle basi stesse dell’ordinamento democratico.

Purtroppo, questi principi abbelliscono una casa disadorna, come una orchestra sinfonica che ai suoni disarticolati preparatori dei singoli strumenti musicali non fa seguire mai il concerto armonioso. E questo perché manca la volontà politica di attuare la Costituzione in modo conseguente.

Questa volontà attuativa è nei lavoratori, nel sindacato. Lottando per gli interessi dei lavoratori, il sindacato lotta per creare prospettive di rinnovamento e di progresso democratico del Paese. La lotta rivendicativa ha il suo punto di fuoco nelle piccole e medie imprese dove passa la linea della battaglia immediata per la ripartizione del reddito. Giusto. Ma dobbiamo riconoscere che l'azione salariale da sola non è in grado di rompere o valicare le strutture esistenti, che reagiscono e si irrigidiscono chiamando in loro soccorso tutte le forze politiche e sociali.

Noi dobbiamo lottare anche per riformare queste strutture, attraverso le nostre rivendicazioni qualitative e quantitative.

E per questo fine non possiamo rinunciare, sia pure nel rispetto della nostra  autonomia, a conseguire la convergenza di tutte le forze sociali siano esse al governo o all’opposizione.

Riforme, riformismo, riformisti. Indubbiamente mi considero un riformista, e propugno una trasformazione graduale, democratica, della comunità attuale verso  una società più libera e più giusta. Credo, infatti, nei valori permanenti di democrazia e di libertà che devono accompagnare il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Cerco di richiamarmi all'insegnamento dei padri del riformismo: uomini onesti, di fede, ma anche uomini determinati nelle lotte e intransigenti nei principi.

E credo nella autonoma funzione del sindacato in qualsiasi tipo di società civile, per il suo compito irrinunciabile di impulso,  verifica, rappresentanza permanente degli interessi specifici dei lavoratori.

Come credo nell'esigenza della unità sindacale per realizzare un progetto di rinnovamento sindacale condiviso e rendere le singole strutture più adatte alle esigenze dei nostri tempi.

Oggi, molti ex sindacalisti siedono in parlamento perché candidati dai partiti di riferimento. Si potrebbe pensare che ciò sia connesso ai successi conseguiti nella loro opera svolta in favore dei lavoratori. Ma, considerando i risultati raggiunti, non sembra che questa deduzione sia fondata. La classe operaia ed i ceti impiegatizi hanno visto scendere il livello dei propri salari costantemente dagli anni 90, hanno visto sbriciolarsi il potere di acquisto e ridimensionare il potere contrattuale di fronte alle imprese specie quelle multinazionali.

In questa fase recessiva, i lavoratori hanno perso tutte le certezze che avevano conquistato a costo di dure lotte negli anni settanta. Le piccole e medie imprese a loro volta hanno subito tutti i processi di trasformazione e molti imprenditori hanno deciso di delocalizzare gli stabilimenti produttivi in altri paesi. Si sono persi centinaia di migliaia di posti di lavoro nei settori più esposti dell’industria manifatturiera che era un vanto dell’Italia.

Di conseguenza è aumentato il lavoro precario senza garanzie e sussistono soltanto le grandi sacche di privilegi quasi sempre favorite dal clientelismo generalizzato.

Questa situazione chiama alle loro responsabilità i sindacati e gli ex sindacalisti che pur occupando posizioni di potere non riescono a far uscire L’Italia dalla crisi.

Ma non bisogna demordere. La storia dell’Italia e una continua via crucis. E lo spirito degli italiani è forgiato da secoli di duri sacrifici. E noi italiani occupiamo nel mondo un ruolo speciale, non soltanto per la millenaria tradizione di Roma caput mundi, ma per la straordinaria capacità genetica di rimontare le sconfitte.

Dobbiamo recuperare l’unità, la condivisione degli obiettivi e degli sforzi comuni. E in questo scenario, la polizia può e deve svolgere il suo ruolo fondamentale di sostenere le istituzioni democratiche e di favorire il progresso. E il sindacato può e deve affiancare questo progetto perché la crescita della legalità affranca la gente dal bisogno e la toglie dalle grinfie della criminalità.

In questo grande sogno, risiede la mia realtà.

lunedì 4 ottobre 2010

Sindacato Europeo ritorno al passato……la crisi e il lungo silenzio…….



Francesco TIANI



Nel futuro non c’è niente di solito…. declina sempre di più l’ idea del ruolo del Sindacato negli anni avvenire.
Il Sindacato del futuro sarà un Sindacato Europeo il suo naturale campo d’azione. ….la prima potenza economica del mondo. È il primo partner di gran parte dei paesi industrializzati ed emergenti, di quasi tutti i paesi africani e di molti paesi dell’America Latina e gode di una grande popolarità in tutti i continenti.
Ora più della metà delle decisioni che determinano la vita quotidiana di noi cittadini non sono più prese nello spazio nazionale, ma in quello europeo. L’Europa è determinante su materie sulle quali c’è stato un trasferimento di sovranità moneta….commercio…. frontiere….. però ha bisogno di una dimensione politica.
Bisogna pensare europeo. Pensare europeo significa porsi subito l’obiettivo del passaggio dei poteri alle istituzioni dell’Unione, soltanto così può formarsi un pensiero politico europeo.
Si confonde il cambiamento con il riformismo. ….ogni cambiamento non è riforma.
Consideriamo riformista quell’orientamento della politica che interviene a governare il mutamento sociale quando quest’ultimo non si ispira alla giustizia come equità, ma tende a consolidare privilegi, sofferenze socialmente eliminabili, ad impedire la mobilità sociale delle persone e la realizzazione dei loro progetti di vita.
Le vere riforme sono quelle che migliorano la vita del maggior numero di persone,sono quelle che generano il gandhiano , un processo di miglioramento costante e condiviso : «Noi non dovremmo accettare lo status quo e non dovremmo opporci ai cambiamenti e ai miglioramenti che lo mettono in discussione. Il processo di miglioramento, richiede metodo, costanza e motivazione, e deve essere condiviso da tutti».
Con ogni fine è il mezzo, e il mezzo il fine, avrebbe detto Gandhi.
Gandhi, detto il Mahatma (cioè ‘grande anima’), è considerato l’apostolo della ‘non violenza’, l’inventore della disobbedienza civile. Il suo insegnamento ha valicato i confini dell’India, dove Gandhi è nato e vissuto, e si è diffuso nel mondo intero, influenzando tutti i movimenti pacifisti.
 .....si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta ….. una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa. Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti, il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani (eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti.
Il pensiero di Gandhi si basa su tre punti fondamentali:
- Autodeterminazione dei popoli… Gandhi riteneva fondamentale il fatto che gli indiani potessero decidere come governare il loro paese, perchè la miseria nella quale si trovava dipendeva dallo sfruttamento delle risorse da parte dei colonizzatori britannici.
_ Nonviolenza: è necessario precisare che tale precetto non si ferma ad una posizione negativa (non essere causa di male agli altri) ma possiede in sè la carica positiva della benevolenza universale e diventa “l’amore puro” comandato dai sacri testi dell’Induismo, dai Vangeli e dal Corano. La nonviolenza è quindi un imperativo religioso prima che un principio dall’azione politico-sociale. Il Mahatma rifiuta la violenza come strategia di lotta in quanto la violenza suscita solamente altra violenza. Di fronte ai violenti e agli oppressori, però, non è passivo, anzi. Egli propone una strategia che consiste nella resistenza passiva, il non reagire, in altre parole, alle provocazioni dei violenti, e nella disobbedienza civile, vale a dire il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste.
- Tolleranza religiosa: “…il mio più intimo desiderio” dice Gandhi “…è di realizzare la fratellanza tra tutti gli uomini, indù, musulmani, cristiani, parsi e ebrei”. Gandhi sognava la convivenza pacifica e rispettosa dei tantissimi gruppi etnici e delle diverse professioni religiose presenti in India. Queste erano delle ricchezze che dovevano convivere e non dividere politicamente la nazione. Purtroppo, gli eventi non andarono come sperava Gandhi.
Il messaggio che ii Grande Gandhi ci lascia è molto attuale e la storia contemporanea, purtroppo, continua ad essere macchiata dalla guerra e dalla violenza. Gandhi, “piccolo grande uomo”, riesce con le sue sole forze, a sconfiggere il potente Impero britannico e a realizzare il suo grande sogno dell’indipendenza per il suo paese. Come? Con la forza sbalorditiva della nonviolenza…..del boicottaggio pacifico….. della resistenza passiva Come possiamo rendere attuale Gandhi?
Oggi più che mai ritengo che il messaggio di Gandhi sia attuale quanto necessario, da rivalutare e da proporre, quasi come potesse essere un modo per ricondurre gli uomini verso i valori universali che il Mahatma non si stancava mai di esprimere con la sua oratoria unica e coinvolgente e soprattutto con l’esempio di vita che esso dava.
Il mondo oggi più che mai ha bisogno di comunicare e per mondo voglio intendere i singoli tra loro e con il meccanismo del potere,….. i potenti tra loro e con il singolo.
Una frase tra le tante pronunciate da Gandhi mi colpì la prima volta come oggi: “My life is my message”. Ognuno di noi con le sue azioni di vita diventa un esempio. “La mia vita è il mio messaggio”. Parole attualissime e fondamentali.
Se solo pensiamo un attimo a noi stessi come persone, alla nostra famiglia, alla società che frequentiamo e contribuiamo a creare, al mondo politico locale… nazionale e mondiale, cosa notiamo? Egoismo… fanatismo…. Guerra…. Intolleranza….. prove di forza… odio….violenza fisica e verbale… manie di grandezza….. corsa alla ricchezza ….. sfruttamento dei deboli, sopraffazione. Un mondo che ancora 2000 anni dopo Cristo è ancora diviso in chi muore di fame e chi muore per il troppo cibo. L’Essere Umano, quello consapevole del Terzo Millennio, non si sta dimostrando tale.
Naturalmente esistono delle ‘cellule’ di ragionevolezza e impegno per la costruzione di un futuro migliore, persone che portano avanti con il loro esempio di vita valori fondamentali e principi di rispetto…. moralità…. etica…. giustizia…. Impegno…volontà….ricerca della verità…. carità, umanità……. Comprensione…. Umiltà…. Generosità… altruismo….. coraggio…. eguaglianza… libertà….. benessere di tutti gli uomini…… dignità di ciascuno.
Come possiamo essere anche noi portatori di uguaglianza di diritti in una società democratica Gandhi dimostra che la forza di un singolo uomo può diventare la forza di un popolo intero. Non dobbiamo quindi disperare se ci sembra che poteri superiori vogliano decidere per noi e armarci la mano. Gandhi stesso, con le sue parole, ci incoraggia a “cercare… la propria strada e… seguirla senza esitazioni” ed a “non avere paura”. Rivolgendosi a ciascuno di noi aggiunge:“… affidati alla piccola voce interiore che abita il tuo cuore e che ti esorta ad abbandonare …, tutto, per dare la tua testimonianza di ciò per cui hai vissuto e di ciò per cui sei pronto a morire”.
Con questo non voglio dire che ciascuno di noi deve diventare un ‘piccolo Gandhi’, ma tutti noi nel nostro quotidiano possiamo fare tanto applicando qualcosa del suo messaggio nelle nostre azioni anche a costo di sacrifici.
Non tutti sono riformisti allo stesso modo. …. un Sindacato riformatore si batte per costruire una società aperta ed inclusiva. Un tratto distintivo e peculiare nel riformismo in cui ci riconosciamo, quindi, è la valorizzazione delle culture e delle identità.
È proprio di una forza riformtrice saper coniugare continuamente la realtà e la possibilità. I riformatori, infatti, non rinunciano a battersi per un mondo nel quale si dia per tutti una migliore qualità della vita individuale e sociale, ma non perseguono l’illusione di una società perfetta. Lavorano orientati da quella che è stata definita un’utopia realistica, che è poi la nostra visione di progresso e di “democrazia in azione”.
Propri oggi, in epoca di globalizzazione, c’è la necessità di ridefinire il profilo del riformismo su scala planetaria e locale in questa direzione, sia per sostanziare un’efficace cultura di governo, sia nel ridefinire compiti e limiti di azione e di rappresentanza dei grandi corpi intermedi, come il Sindacato, nella costruzione di una vera democrazia cosmopolitica.
Un Sindacato libero è un Sindacato responsabile, che tiene sempre come punto di riferimento della sua azione gli interessi e le speranze dei propri iscritti e vuole coniugare questi con l’interesse generale. Simmetricamente un Sindacato responsabile è un Sindacato libero, che si schiera in base al merito delle questioni e non si lascia condizionare dalle logiche altre della politica.
Maggiore è l’autonomia del Sindacato dal sistema politico, maggiore è il contributo che esso può dare alla sua evoluzione ed al suo modernamento. Bisogna ridefinire il rapporto tra Sindacato e politica alla luce del consolidamento del sistema bipolare. In via preliminare, bisogna sgombrare il campo da un equivoco: il Sindacato ha svolto e deve continuare a svolgere un ruolo politico, si tratta di stabilire la natura di questo ruolo.
Se guardiamo alla storia degli ultimi decenni, si sono delineate due concezioni opposte. La prima vede il Sindacato subalterno ad un partito o ad uno schieramento ….prigioniero di una visione veramente antagonistica e conflittuale.
…. La concezione opposta fa del Sindacato un soggetto portatore di una sua politica e di un suo preciso profilo che i partiti e gli schieramenti possono condividere e sostenere, ma mai determinare e dirigere.
Un Sindacato libero e democratico, che ha sempre rifiutato i miti collettivistici, le tentazioni conflittualistiche e, nel contempo, la subordinazione politica ed istituzionale.
Il paradosso, con il quale alcuni partiti sono oggi alle prese, è quello di quanto essi debbano essere autonomi rispetto al Sindacato l’occasione per un profondo riesame culturale e politico, ma se un lungo silenzio ha dominato i grandi partiti europei. Il timore di uscire dall’ortodossia ha finora prevalso sulla voglia di indagare sulle origini sociali della crisi, sul fallimento delle teorie neo-conservatrici e sulla possibilità di aprire nuovi percorsi ideologici e politici. E’ passato poco da quando il mondo fu scosso da quella che fu definita la crisi più grave dopo la Grande Depressione degli anni Trenta.
Oggi la crisi si consuma nell’opacità del dibattito culturale e politico.
La crisi, in questo non diversamente dagli anni Trenta, è il fallimento del modello economico neoliberista. Questa cultura si era profondamente insinuata nella sinistra, appena mascherata dalla retorica della “Terza via”. La crisi era l’occasione per un profondo riesame culturale e politico. Ma poco o nulla si è visto in questa direzione. Un lungo silenzio ha dominato i grandi partiti della sinistra europea. Il timore di uscire dall’ortodossia ha finora prevalso sulla voglia di indagare nelle origini sociali della crisi, sul fallimento delle teorie neo-conservatrici e sulla possibilità di aprire nuovi percorsi ideologici e politici.
Il Sindacato del futuro sarà un Sindacato laico in grado di battersi per il rispetto e la tutela democratica delle differenze. Laicità intesa come indipendenza e libertà di giudizio e di un rapporto tra politica e società che rafforza la capacità di leggere, analizzare e decidere al di là di collocazioni pregiudiziali ed ideologiche. Laicità intesa come impegno senza remore per il progresso e per la migliore convivenza sociale e civile. Un sindacato sul pensiero e gli ideali del grande Gandhi.Per poter esercitare al meglio questa funzione di tutore della civile convivenza, di garante del reciproco rispetto, esso non può che essere aconfessionale, cioè ideologicamente super partes. Non si arriverà mai a uno Stato laico e allo stesso tempo democratico se non si promuove la libertà di coscienza e non si pone come parametro la dignità sociale, oltre la quale qualsiasi opinione, tendenza, azione non possono e non devono spingersi.
La libertà di coscienza da tutelare è quella della persona che deve compiere liberamente le sue scelte di vita ed allo stesso tempo avere gli strumenti e le condizioni per farlo. Risulta dunque fondamentale non tanto un’attività costante d’informazione quanto un’attività di promozione di riforme e di leggi che garantiscano tale possibilità.
La laicità e il senso dello Stato sono anche gli strumenti culturali privilegiati per comprendere e contrastare i vecchi e nuovi particolarismi che prendono sempre più piede nel Paese, in un clima di smarrimento collettivo della memoria e dei valori fondamentali che sono stati alla base della costruzione dell’Italia unita con il Risorgimento, con la Resistenza al nazi-fascismo e della Costituzione Repubblicana.
Informazione, conoscenza dei propri diritti e doveri che devono necessariamente essere promossi dalla famiglia, dalla scuola, dalle istituzioni pubbliche e dalle parti sociali, sono necessari per non subire la globalizzazione, consolidando una cittadinanza europea che possa funzionare come fondamento di una cittadinanza planetaria.
Attorno ai diritti, vecchi e nuovi, si stanno creando sensibilità comuni, che scavalcano le frontiere ed espandono le logiche contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Non si vuole in questo modo imporre un modello a culture cui esso è estraneo ma rispondere e misurarsi con un nuovo ordine delle cose che gli schemi del passato non riescono più a contenere. Si dovrebbe parlare di sfera pubblica europea. Sfera pubblica europea vuol dire creazione di un comune spazio pubblico di confronto, dove le diversità che segnano l’Europa possano riconoscersi reciprocamente, consentendo il rafforzarsi dei valori condivisi e la progressiva adozione di politiche comuni.
Solo la laicità consente all’Europa di mantenere la sua ricchezza interna e la sua apertura verso l’esterno. Essa oggi rappresenta la regione del mondo dov’è più intensa e comune la tutela dei diritti fondamentali, dove la costituzionalizzazione della persona” incontra consapevolmente le innovazioni scientifiche e tecnologiche.
Il Sindacato ha sempre assunto la democrazia come suo riferimento d’azione Fondamentale.
E deve battersi per affermare la democrazia in tutte le sue forme e a tutti i livelli.
Veniamo da anni di vera e propria crisi civile della nostra società. Si è affermata l’idea che ognuno potesse fare da solo, che ognuno si potesse arrangiare in qualche modo. Orientata da questa concezione anche la politica ha alimentato spintedisgregatrici, egoistiche e individualistiche, confermando così modelli diffusi nella cultura dominante.

Il Sindacato Confederale ha come ragione costitutiva la convivenza civile delle persone che si riconoscono in un sistema di valori ed esprimono un’appartenenza forte e convinta alla società italiana e per questo ha un’altra idea della politica. Il lavoro da fare, sotto questo punto di vista, è complesso e riguarda sia la costruzione di una credibile proposta culturale alternativa per la società civile che il riaffermarsi di un ruolo alto della politica e della funzione dei gruppi dirigenti.
In Italia la tendenza dei partiti di limitarsi a fare da specchio alla società ha avuto come conseguenza l’ulteriore frammentazione ed estremizzazione delle posizioni. Il sistema politico è diventato sordo e lontano rifiutando l’onere della rappresentanza dei bisogni delle persone per rifugiarsi spesso nel populismo, che vede il politico interloquire con una società “neutralizzata”, senza dialettica interna, con un “popolo” nel quale tutto si confonde, al quale si riconosce solo la possibilità di un’adesione plebiscitaria.
I nuovi tiranni delle "Democrazie plebiscitarie" hanno in comune lo stesso disprezzo per le Istituzioni democratiche, per le libertà... dove i poveri… i giovani… gli affaristi, e chi non ha nulla…. votano i tiranni……perché gli regalano un sogno….. un sogno che diventa un incubo per chi è realmente democratico.
Le nuove tirannie, non fanno morti veri, ma riempiono le strade delle città di morti civili: un uomo senza lavoro….. senza soldi….. senza libertà senza futuro è solo un cadavere che cammina.
Sembra di camminare fra le macerie della società democratica….. fatta solo di regole…..di diritti sociali….. di lotte sindacali e di Politica……….. una società che era costituita dalle libertà .
Poco importa, alle Tirannie della "Democrazia plebiscitaria" che con un decreto cancellano la vita di migliaia di persone, se i giovani fra due o tre generazioni, non avranno futuro, non avranno famiglia…. né casa …. né figli.
Sull’altare del potere e del profitto, per la prima volta nella storia, lasciamo in eredità alle generazioni future, un Pianeta terra ammalato, forse agonizzante.
Noi continuiamo a camminare ritti nella schiena, ma oppressi dal peso della tirannia, con la certezza che ci possano togliere tutto ed anche la vita, ma non la nostra dignità ….. uniamoci per tutelarci .


Francesco TIANI